Le premesse per l’innesto
di traiettorie di sviluppo
a. La teoria del capitale sociale
b. Cultura civica e fiducia
c. I circoli virtuosi dello sviluppo
 
     
Una nuova immagine
del Meridione
a. Le ricerche sullo sviluppo locale
b. Le nuove politiche per il Sud
c. Cosa accade dopo l’allargamento?
 
           
 
LE NUOVE POLITICHE PER IL SUD
La ricerca delle cause del manifestarsi, per molti versi inaspettato, di una vitalità imprenditoriale nel Sud non può prescindere dai mutamenti delle politiche pubbliche verificatisi a partire dagli anni Novanta.

Gli studiosi contemporanei della Questione meridionale sembrano concor¬dare nell' attribuire alle politiche di sviluppo realizzate nel Mezzogiorno duran¬te il secondo dopoguerra una pesante responsabilità relativamente al permane¬re di una condizione di arretratezza. In particolare, una netta distinzione viene fatta fra un primo periodo delle politiche di intervento, che si conclude con l'i¬nizio degli anni Settanta, e una seconda fase che comprende il ventennio suc¬cessivo sino alla fine ufficiale dell'intervento straordinario .

Nel primo periodo, mediante l'attrazione di investimenti esterni, la costruzione di grandi infrastrutture e l'intervento delle Partecipazioni statali, si è realizzata, forse per la prima volta nel nostro paese, una politica industriale di sviluppo. Gli impatti sulla realtà economica e sociale sono stati notevoli e hanno portato alla realizzazione della riforma agraria, alla costruzione di grandi assi autostradali che hanno cancellato il tradizionale isolamento di tante aree del Sud, all'inse¬diamento di importanti nuclei industriali che hanno trasformato il volto di molte città meridionali. La scommessa più grande fu però persa: non si avverò la previsione che le grandi opere e i grandi insediamenti industriali potessero provocare uno sviluppo autonomo.

Ciò accadde, probabilmente, anche perché la nascita delle piccole imprese autonome intorno ai poli industriali non fu sostenuta da politiche industriali mirate al conseguimento di tale risultato . Questo insuccesso costituisce la premessa per ciò che si è verificato negli anni Settanta e Ottanta, quando le politiche di sviluppo si tra¬sformano in politiche assistenzialistiche di sostegno al reddito promosse da una classe politica in crisi di legittimazione. Il denaro pubblico, prima destinato al sostegno della crescita economica, viene utilizzato per erogare pensioni e inden¬nità, creare "lavori socialmente utili", accrescere a dismisura l'organico della Pubblica amministrazione e degli enti pubblici, erogare a pioggia finanziamenti a miriadi di attività economiche con poche forme di verifica e valutazione. Si consolida la subordinazione dell' economia e della società meridionali al ceto politico locale e non si produce autentico sviluppo, ma lo sviluppo senza autonomia, secondo la definizione di Trigilia.

L'effetto dei trasferimenti pubblici si riflette sul livello dei consumi degli abitanti che diven¬gono simili a quelli delle altre aree italiane. Ma l'incremento del reddito non significa maggiore capacità di produzione autonoma; in tal senso, anzi, le aree più arretrate risultano essere proprio quelle in cui maggiormente si concentra l'intervento pubblico assistenziale. Dopo circa quaranta anni di intervento straordinario, la Questione meridionale sembra riproporsi in tutta la sua gravità: «Gli anni Ottanta sono comunque il periodo più brutto della storia recente del Mezzogiorno, apparentemente con un'economia immodificabile e una classe dirigente inamovibile» .
Gli anni Novanta, che coincidono, paradossalmente, con la fine ufficiale delle politiche di intervento straordinario, sono quelli in cui si verifIca una "svolta" nella realtà meridionale . Se nella prima parte del decen¬nio l'economia meridionale sembra fermarsi e la disoccupazione aumentare, in seguito il quadro muta considerevolmente: alla scoperta delle realtà di sviluppo locale nel Sud si accompagnano la crescita delle capacità di esportazione, l'au¬mento del Prodotto interno lordo e, alla fine del decennio, anche una ripresa positiva dell'andamento dell'occupazione. Fra l'altro, la nuova occupazione si concentra quasi esclusivamente nel settore privato e gli addetti presentano un livello di qualificazione più alto del passato. A partire dal 1997 nel Sud si realizzano risultati di sviluppo migliori di quelli registrati nei ven¬ticinque anni precedenti.
  Fra le possibili cause che possono spiegare questa nuova fase appaiono rive¬stire una particolare importanza le nuove politiche di sviluppo. La fine dell'in¬tervento straordinario non produce solo effetti negativi sull' occupazione, ma spinge una parte importante della società meridionale a contare sulle proprie forze facendo a meno della tutela assistenzialista. La politica di svalutazione della lira accresce la competitività dei distretti meridionali e consente di accu¬mulare risorse per investire in innovazione.

Emerge una classe dirigente rinnovata, costituita soprattutto dai cosiddetti nuovi sindaci, che accresce la dotazio¬ne di fiducia delle società locali. Forse la parte più importante è svolta dalla nuova programmazione mediante la quale si cerca di disegnare un quadro uni¬tario delle politiche per il Sud, ispirato da una filosofia che vuole essere molto diversa da quella che sottintendeva l'intervento straordinario. Le linee portanti della nuova programmazione sono sostanzialmente due : la realizzazione di infrastrutture materiali e immateriali di qualità e la valorizzazione della centralità dei sistemi locali di impresa nello sviluppo del Mezzogiorno. La prima linea si articola in cinque assi: valorizzazione delle risorse naturali e ambientali; valorizzazione delle risorse umane, culturali e storiche; migliora¬mento della qualità delle città; sviluppo dei sistemi produttivi locali; collega¬menti fisici e immateriali con altre aree.

La seconda si muove su due direttrici: rafforzamento della programmazione negoziata (patti territoriali, contratti d'a¬rea, contratti di programma); riqualificazione degli incentivi di compensazione (soprattutto con la legge 488 che sostiene i processi di innovazione tecnologica).
I giudizi sugli impatti effettivi della nuova programmazione non sono una¬nimi. C'è chi ritiene che in essa siano confluiti sia interventi tradizionali che non si discostavano, in fondo, dalla logica dell'intervento straordina¬rio (legge 488, contratti di programma e contratti d'area), sia interventi più coe¬renti con il nuovo quadro di regolazione che si vuole dare all' economia italiana (riforma della Pubblica Amministrazione e, soprattutto, Patti territoriali). Particolarmente rilevante è il ruolo dei Patti territoriali nella nuova logica program¬matoria; mediante essi si vogliono promuovere coalizioni fra le Pubbliche Amministrazioni locali e le imprese, per coordinare le rispettive attività e realiz¬zare progetti di investimento. Se questo strumento non riesce a ottenere tutti i risultati sperati, ciò è dovuto al fatto che i governi centrali non credono fino in fondo alla nuova politica e subiscono l'influenza delle spinte assistenzialiste e centraliste.

L'implementazione di Patti è, infatti, segnata, da difficoltà e contrad¬dizioni : vi è un proliferare di proposte, la dimensione territoriale è sovradimensionata, i processi decisionali sono lentissimi, la normativa buro¬cratica è farraginosa. Inoltre, cosa grave per strumenti che hanno anche la fina¬lità di rompere con la cultura dell'individualismo e produrre beni relazionali, le forze culturali e del no profit svolgono un ruolo insignificante . Ciò finisce per accentuare la divaricazione fra gli obiettivi delle imprese (che cercano una redditività a tempi brevi) e quelli ufficiali del sistema istituzionale che vuole promuovere, con tempi lunghi, la competitività complessiva del sistema.
  Per altri studiosi, se gli effetti della nuova programmazione sono da considerarsi precari e insufficienti, ciò non è tanto dovuto ai problemi verificatisi nella fase di implementazione, ma già all'impostazione di questa poli¬tica. Non a caso i provvedimenti che sembrano aver funzionato meglio sono quelli che Viesti ritiene improntati alla logica del vecchio intervento straordinario (cioè la legge 488 e i contratti d'area), mentre i più grandi limiti si riscontrano nelle politiche comunitarie di coesione e, soprattutto, nei Patti ter¬ritoriali. Gli interessi degli attori coinvolti banalizzano gli interventi comunitari che si trasformano in occasioni di distribuzione a pioggia degli stanziamenti. A determinare ciò è soprattutto la pratica diffusa della riprogrammazio¬ne degli interventi in seguito all'incapacità di spesa mostrata dalle regioni italia¬ne: vengono così finanziati interventi tradizionali, spesso già realizzati, e sono infranti i principi basilari delle politiche comunitarie quali l'addizionalità, la concentrazione, la programmazione e la valutazione. La critica ai Patti territo¬riali è ancora più feroce tanto da farli ritenere una politica strutturalmente ina¬deguata a sollecitare lo sviluppo in gran parte delle aree del Mezzogiorno.

A circa dieci anni dall'inizio della nuova programmazione per il Sud sono venute meno alcune delle sicurezze che ne avevano caratterizzato l'avvio. Per un verso sembrano essersi consolidati alcuni punti fermi :

• la necessità di non considerare il Sud come un blocco unitario, ma come un insieme di realtà locali specifiche;

• la necessità di non pensare a uno sviluppo monoculturale, ma all'integra¬zione fra diversi settori di attività (industria, turismo, terziario e così via);

• il riconoscimento della capacità dei meridionali di saper fare impresa con la conseguente necessità di concentrare le risorse su quei sistemi locali che mostri¬no segni di vivacità e che possano indurre, per imitazione, uno sviluppo più dif¬fuso secondo il principio dello sviluppo squilibrato di Hirschman.

Per altro verso, riemerge in alcuni studiosi il pessimismo circa la possibilità che i segnali positivi provenienti dal Sud possano davvero.
costituire quella "grande svolta" di cui si era parlato. La più grande delusione proviene proprio dalla politica che, esauritasi la fase dei nuovi sindaci anche per il venir meno del sostegno da parte di quelle forze politiche che l'avevano supportata , appare debole per progettualità, standard morali, incapacità di intercettare i cambiamenti sociali, entropia organizzativa, discontinuità rispetto al passato.
Di fronte ai limiti evidenziati dagli strumenti politici ispirati alla nuova pro¬grammazione emergono altre proposte. Torna in discussione la rinascita di un' a¬genzia indipendente, a competenza sovraregionale, che abbia la finalità di acce¬lerare lo sviluppo.

Essa dovrebbe agire in isolamen¬to operativo rispetto alle realtà locali, muovendosi discrezionalmente sulla base delle indicazioni generali del governo centrale. La sua azione dovrebbe portare alla localizzazione" chiavi in mano" di attività innovative, ad alto valore aggiun¬to, orientate all' esportazione e gestite da società di successo preferibilmente straniere. Nulla appare più lontano dai principi di base della programmazione degli anni Novanta!
Altri autori invece, in maggiore continuità rispetto al recente passato, ritengono che sia necessario eliminare il Mezzogiorno come problema specifico, per ricondurre le sue difficoltà alla più generale incapacità del sistema Italia nel mettere a valore le sue risorse: naturali, finanziarie, culturali e, soprat¬tutto, umane.

Le politiche future non sono, quindi, politiche specifiche per il Sud, ma interventi di riforma dello Stato che rendano, complessivamente, più competitivo il sistema economico italiano. Tali interventi dovrebbero articolar¬si su quattro livelli: innalzamento della qualità della Pubblica Amministrazione; riforma dello Stato sociale, rivedendo la spesa pensionistica; regolazione delle relazioni industriali e del costo del lavoro, agendo sul livello troppo elevato degli oneri sociali; nuova regolazione dei mercati, ampliando le possibilità di fare impresa e garantendo una maggiore concorrenza. La via dello sviluppo locale non viene abbandonata, ma certamente è sottolineata con molta minore enfasi, stando attenti a non crearsi eccessive illusioni. L'esperienza ha insegnato quan¬to siano importanti, al di là dei singoli strumenti, le coalizioni locali pubblico ¬private che li gestiscono e come quindi sia necessario incentivare i comporta¬menti di cooperazione e coordinamento affinché le società locali imparino a governarsi .
contatti | news | link utili
---------------- Contenuti Rositano Domenico © All rights reserved - engineered site by Luca Pavan ----------------